Notule
(A cura di LORENZO L. BORGIA & ROBERTO COLONNA)
NOTE
E NOTIZIE - Anno XXII – 10 maggio 2025.
Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org
della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia”
(BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi
rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente
lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di
pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento è oggetto di studio dei
soci componenti lo staff dei
recensori della Commissione Scientifica
della Società.
[Tipologia del
testo: BREVI INFORMAZIONI]
Scoperta la convergenza di cannabis e
psicosi sui sistemi dopaminergici del tronco encefalico. Jessica
Ahrens e colleghi hanno studiato in un campione di 61
persone (25 affette da disturbo da uso di cannabis e 36 non affette) se vi è una
aumentata attività dopaminergica delle popolazioni neuroniche della substantia
nigra mesencefalica (SN) e dell’area tegmentale ventrale (VTA), come accade
nelle psicosi non trattate. I volontari sono stati studiati medianti MRI
sensibile alla neuromelanina. Le immagini hanno
rilevato, negli assuntori di cannabis affetti dal disturbo, un incremento dei segnali
MRI associati a neuromelanina, in specifici voxel
SN/VTA critici per il rischio di psicosi, confermando un’azione sulle vie
dopaminergiche comuni alla mediazione degli effetti della cannabis e dei
sintomi delle psicosi e, dunque, indicando una convergenza che rivela una
sinergia patogenetica. [JAMA Psychiatry - AOP doi: 10.1001/jamapsychiatry.2025.0432,
2025].
HDAC6-PET in Sclerosi laterale
amiotrofica (SLA) e Demenza fronto-temporale (DFT). Tracciando
alla tomografia ad emissione di positroni (PET) l’istone deacetilasi 6 (HDAC6),
un enzima responsabile del trasporto intracellulare e della clearance delle
proteine malconformate, si possono ottenere
informazioni utili ad adottare strategie terapeutiche più mirate di quelle
attualmente in uso. [Cfr. Ann Clin Transl Neurol. – AOP doi:
10.1002/acn3.70067, May 7, 2025].
Il talamo paraventricolare (PVT)
distingue dolore viscerale e ansia elaborandoli separatamente. Di
Li e colleghi hanno identificato il talamo paraventricolare (PVT) come un
centro di smistamento che distingue il dolore viscerale dai segnali che
inducono comportamenti ansiosi, e li elabora in modo specifico e
separato. Due sub-regioni di PVT, aPVT e pPVT, operano in questo modo: la via aPVT-BLA-CeA
funge da varco controllato per i segnali di dolore viscerale e ansia, mentre la
via pPVT-CeA regola esclusivamente i segnali legati
al comportamento simil-ansioso. [Cfr. Neuron – AOP doi: 10.1016/j.neuron.2025.04.019,
May 8, 2025].
Esposizione acuta alcoolica degli
adolescenti: effetti lesivi sul cervello della sbornia. Un
nuovo studio condotto da J. Daniel Obray e colleghi
ha dimostrato che l’assunzione intermittente di quantità elevate di etanolo
promuove l’allodinia meccanica e altera la funzione sinaptica delle connessioni
che vanno dall’amigdala baso-laterale (BLA) alla corteccia prelimbica (PLC).
Questi risultati indicano che bere alcoolici in dosi considerevoli, anche se
con intermittenze, produce danni al cervello degli adolescenti e, in
particolare, altera la funzione sinaptica e l’eccitabilità intrinseca
all’interno del circuito nocicettivo prefrontale. [Cfr. Elife
– AOP doi: 10.7554/eLife.101667, 2025].
I pappagalli più
sociali hanno un vocabolario migliore e un repertorio vocale più ricco. Ricercatori
del Max Planck Institute of Animal Behaviour hanno studiato il parrocchetto
monaco (Myiopsitta monachus)
o parrocchetto torrigiano, uno degli psittacidi di medie dimensioni più abili
nel ripetere parole e improvvisare suoni dopo aver ascoltato musica, esaminando
le sue reti sociali e le vocalizzazioni compiute nelle colonie di parchi
pubblici dove vive. Sono state registrate le reti sociali di 337 individui, i
rapporti di 100 individui e analizzate 5.599 vocalizzazioni prodotte da 229 parrocchetti
nel corso di due anni. Tutti gli esemplari esaminati hanno presentato un’elevata
diversità nei richiami di contatto. Questa specie, che vive in colonie numerose,
presenta una gamma di segnali vocali molto più ampia della media. Particolare
il rilievo che le femmine avevano repertori più variati dei maschi, a
differenza di quanto accade negli uccelli da canto, in cui solo il maschio
canta e, dunque, ha un repertorio molto più vasto delle femmine. Lo studio ha
rivelato un’influenza sociale multiforme sulle produzioni vocali, dai contenuti
all’estensione della gamma, e in particolare che le variazioni anche piccole
nella struttura sociale possono influenzare la complessità vocale espressa. [Cfr.
Royal Society Open Science – AOP doi: 10.1098/rsos.241717, May
7, 2025].
Scoperto e descritto un legame di
amicizia come quello umano fra gli uccelli. Uno studio di
ricercatori della Columbia University ha indagato uccelli della famiglia degli Stornidi in Africa, documentando e dimostrando che possono
formare legami sociali di lunga durata, anche per tutta la vita, che ricordano
dei veri rapporti di amicizia. [Fonte: Columbia University May 7, 2025].
Una specie animale può davvero imparare
il sistema di comunicazione di un’altra? Un film, in cui Terence
Hill parla con i delfini e intende altri animali, si conclude con una simpatica
gag in cui Bud Spencer rivela di conoscere il “gabbianesco”.
È un gioco di vecchia data e sempre praticato, dal tempo delle favole di Esopo
ai cartoni animati e ai “meme” sui social media, quello di far parlare
gli animali e considerare come delle lingue che si possono apprendere i sistemi
di comunicazione specie-specifici. Attualmente, si impara ogni giorno qualcosa
di più sui sistemi di segnalazione e ricezione adottati dagli animali. Ad
esempio, ora sappiamo con certezza che gli elefanti si salutano sventolando le
orecchie e producendo alcuni suoni vocali sordi caratteristici, che le balene
modificano i suoni comunicativi a seconda del contesto dei loro scambi che gli
etologi chiamano “conversazioni”, che gruppi territoriali o tribali di molte
specie animali presentano un “accento” locale o di gruppo dei segnali vocali.
Ma per quanto riguarda l’acquisizione
interspecie dei sistemi di segnalazione, per il momento sono stati documentati
numerosissimi casi di imitazione parziale o sporadica, e casi meno numerosi di
uso sistematico a proprio vantaggio dei segnali di altre specie. In proposito,
dopo aver specificato che si studia l’acquisizione non casuale di pattern di
vocalizzazione, Benjamin Van Doren della
University of Illinois Urbana-Champaign ha recentemente citato il caso del
drongo (Dicrurus adsimilis),
un uccello africano di colore nero bluastro che, sfruttando il suono vocale di
allarme di un’altra specie, riesce a creare un inganno che gli procura cibo. [Cfr.
LiveScience, 2025].
Uno stile cognitivo derivato da un’antica
esperienza di scrittura: rebus e pittografia. In
molte antichissime scritture si assiste alla transizione dalla pittografia,
ossia dalla resa pittorica e perciò analogica di elementi della lingua parlata,
a una cifratura dei suoni come quella totalmente espressa dalle nostre
scritture fonetiche, che si basano sul rapporto fisso suono/lettera
dell’alfabeto. La transizione è quanto mai suggestiva, perché assomiglia a
quello che oggi definiremmo un “messaggio in codice”, alludendo a un
significato da attribuire mediante una chiave, o a un rebus, ossia quel gioco
enigmistico in cui si alternano lettere e disegni, che il solutore deve
comporre per ottenere una frase di senso compiuto. L’uso di una scrittura di transizione
tra pittografia e fonografia sviluppava un modo di procedere mentale che poteva
diventare un vero e proprio stile cognitivo. Una prova la abbiamo nel primo
racconto del Vetalapancavimsati indiano, in
cui un giovane principe poco aduso alla scrittura viene aiutato da un amico
scriba a comprendere un messaggio amoroso.
Il principe passeggiando con un suo caro
amico – figlio del ministro e per questo esperto di interpretazione dei segni
della scrittura adottata per legiferare, comunicare e governare il regno –
giunge nei pressi di uno stagno dove vede dalla parte opposta una bellissima
fanciulla, e ne rimane immediatamente affascinato, per questo cerca di farsi
notare; lei lo nota e lo ammira, ma sono lontani e non possono parlarsi. Allora
la giovane inscena un piccolo spettacolo, prima di lasciare il principe nello
sconforto per non aver capito nulla: coglie un fiore di loto e, mettendolo bene
in vista, lo accosta all’orecchio, poi lo porta alla bocca e lo pone fra i
denti, subito dopo lo pone sotto i piedi, ergendosi diritta; infine, con un gesto
delicato, elegante e armonioso, lo porta al cuore inclinando il capo. Il
principe è avvilito, perché sente di averla persa per sempre, ma l’amico lo
conforta dicendogli che ormai sanno tutto di lei e possono ritrovarla in
qualsiasi momento. Ecco come decifra la gestualità simbolica ispirata ai
criteri della scrittura indiana. Il fiore di loto (padma) indica la sua
identità: in sanscrito orecchio si dice karna,
dunque lei vive nel Karnataka, in particolare nella città di Dantapura, come dice il loto fra i denti che in sanscrito
si dicono danta; il suo nome è rivelato dal
porre il fiore sotto i piedi, così che si riferisce a tutta la figura: Padmavati, cioè “la donna del loto”, e, infine, il
gesto che non ha bisogno di traduzione dice che l’ama.
Certo, non era come avere il numero di
telefono, ma il codice gestuale integrato dal criterio usato nella pittografia
(orecchio, dente e figura per “donna”) consentì al principe di rintracciare l’affascinante
apparizione. Ma, se la ragazza ha confidato nell’efficacia comunicativa della
gestualità emblematica e il figlio del ministro l’ha perfettamente decifrata, è
perché l’uso convenzionale delle figure nella scrittura aveva creato un
paradigma di significazione comune. Infine, lo studio degli antichi testi
indiani rivela che questo modo di procedere mentale, ricavando senso dal
collegare significati univoci a valori metaforici dipendenti dal contesto, era
un costume mentale e, dunque, uno stile cognitivo molto comune a quell’epoca. [BM&L-Italia, maggio 2025].
Dalle opere
enciclopediche sulla cucina al rigore tecnico dell’Epulario. Proseguiamo nei nostri appunti di
storia della cucina per sensibilizzare circa la necessità di ritornare alla
preparazione casalinga dei cibi, evitando i prodotti dell’industria alimentare
(v. in Note e Notizie 15-02-25 Notule: I nuovi studi su microbioma
intestinale e asse cervello-intestino evidenziano l’importanza dei costumi
alimentari; Note e Notizie 22-02-25 Notule: Appunti e curiosità su
abitudini alimentari e cucina presso i Romani antichi; Note e Notizie
01-03-25 Notule: Da Roma a Firenze: appunti di cucina medievale italiana
prima del primo libro di cucina; Note e Notizie 08-03-25 Notule: Dai
costumi alimentari medievali alla nascita del lessico della cucina italiana;
Note e Notizie 15-03-25 Le straordinarie ricette del Modo di cucinare et
fare buone vivande rivelano i gusti dell’epoca; Note e Notizie 22-03-25 I
destinatari dei ricettari del Trecento e la breve storia di una brigata di
giovani gaudenti; Note e Notizie 29-03-25 Da cosa mangiava il Collegio
dei Priori nel 1344 al secondo libro di cucina del Trecento; Note e Notizie
05-04-25 La vera storia dell’arista e del vin santo: circolano ancora
racconti smentiti dai documenti; Note e Notizie 26-04-25 Dalle
peculiarità della tavola ai banchetti nuziali di grandi matrimoni storici del
Quattrocento; Note e Notizie 03-05-25 La gastronomia entra a far parte
della cultura ed è riscattata dal sospetto di essere un’arte pagana).
La settimana scorsa ci siamo lasciati
con le ricette di Bartolomeo Sacchi da Piadena di Cremona, alla cui tradizione
si ispirò l’attore Ugo Tognazzi, nato a Cremona, quando cominciò a scrivere
libri di cucina; oggi consideriamo la parte epica della cucina rinascimentale,
che annovera una serie di protagonisti di rilievo storico, cui si deve l’aver
attraversato il mutare dei gusti artistici, e letterari, come gli sviluppi
della scienza nella cultura, conservando priorità e tradizioni culinarie, veicolate
e sviluppate nel Seicento in un crescendo italiano di importanza sociale,
contro la tendenza al ritorno ad abitudini frugali nel resto d’Europa.
Cristoforo Messisbugo,
Scalco della corte degli Estensi di Ferrara, fu nominato dall’Imperatore Carlo
V Conte Palatino e redasse come opera di cultura per aristocratici e borghesi tre
libri che formano un grande volume diviso in tre parti: Banchetti,
composizione di vivande et apparecchio generale. La terza parte, stampata anche
separatamente in Venezia nel 1557, si intitola Libro Novo nel qual si
insegna a fare ogni vivanda, in cui all’enciclopedica raccolta di piatti,
diremmo oggi “internazionali”, aggiunge 315 ricette di cucina locale.
Naturalmente, Messisbugo non fu mai cuoco e si
preoccupò di conferire una fisionomia di branca culturale indipendente allo
studio della gastronomia, dei costumi alimentari e della loro narrazione.
Questa concezione fu massimamente espressa da Bartolomeo Scappi, gastronomo di
famiglia bolognese, cuoco segreto di Papa Pio V, e compilatore di una vera e
propria enciclopedia della cucina in 6 libri, editi a Venezia nel 1570 con un
nome che rivela la missione che Scappi si prefiggeva: Opera.
Un altro celebre “cuoco segreto” fu il nobiluomo
fiorentino Domenico Romoli detto il Panonto[1],
che legò la sua vita a quella avventurosissima di Giovanni Maria Ciocchi del
Monte, uno studioso di scienze umane laureato in giurisprudenza divenuto
presbitero di Papa Giulio II, che partecipò al Concilio Lateranense V ma,
durante i massacri e le devastazioni del Sacco di Roma (1527), fu consegnato al
nemico come ostaggio da Papa Clemente VII e destinato ad essere ucciso a Campo
de’ Fiori con gli altri ostaggi. Con un’eroica missione segreta organizzata dal
Cardinale Pompeo Colonna, Giovanni Maria Ciocchi fu liberato poco prima di
essere giustiziato e poté prendere parte alla commissione incaricata di
preparare il Concilio di Trento. Nel 1550 Giovanni Maria Ciocchi del Monte
viene eletto al soglio pontificio col nome di Papa Giulio III e, acquisita la
carica, subito nomina in gran segreto il Panonto suo
cuoco, affidandogli ufficialmente compiti di organizzazione dei prestatori d’opera
vaticani.
Il Panonto
pubblica nel 1560 un’opera che rimarrà una guida per l’organizzazione della
cucina e dei servizi di mensa presso tutte le grandi corti: La singolar
dottrina.
Si tratta di un lavoro che merita un po’
di attenzione, sia per la sua struttura sia per i contenuti, che mirano non
solo a trasmettere segreti per soddisfare il gusto e la gola, ma tendono anche
a fissare regole di stile, precetti di galateo e modi per interpretare in
chiave estetica ruoli generalmente definiti solo dalle mansioni. La singolar
dottrina diventa in breve tempo una guida per maggiordomi e scalchi, a cui
si ispirano tutte le classi sociali, compreso il popolo minuto, per organizzare
la cucina e il servizio alle mense; nel caso dei meno abbienti, la guida si
seguiva per le occasioni speciali, quali i banchetti di nozze o la celebrazione
di qualche altro lieto evento familiare per cui si poteva beneficiare dell’aiuto
economico della Chiesa, di religiosi o prelati.
Non è trascurabile che La singolar
dottrina contenga precetti di salute tratti dal sapere dei medici dell’epoca,
digressioni sulla natura degli alimenti, informazioni sull’arte della tavola e
una lista di menu, cioè dei modelli per compilare in modo saggio, piacevole e
appropriato la sequenza dei piatti di un pranzo, una cena o un banchetto. Vi
sono poi 138 ricette descritte in modo dettagliato, ossia non rivolto a cuochi
ma a tutti coloro che volessero imparare a cucinare quei piatti nel modo migliore:
ancora oggi si riportano le ricette dei piatti di pastasciutta. Ecco un piccolo
esempio dei consigli di Domenico Romoli per l’organizzazione: “Il Panonto, per esempio, ci informa anche che «lo scalco deve
essere aiutato da tre officiali: cuoco (che deve avere barba rasa,
capelli corti e deve essere italiano), credenziere e spenditore
(che deve essere giovane, polito e pratico)»”[2].
La
Camerata de’ Bardi o Camerata Fiorentina, nata per volontà del conte
Giovanni Bardi con sede nel suo Palazzo Bardi in Via de’ Benci a Firenze, nacque
come associazione di amanti di musica, letteratura, scienza e arti, ma divenne
famosa per aver fissato gli stilemi del recitar cantando, dando luogo al
melodramma, ossia l’opera lirica, e per annoverare fra i suoi soci Vincenzio Galilei, grande studioso dei fenomeni acustici
del suono e della musica, che lasciò a suo figlio Galileo Galilei appunti di
tesi ed esperimenti che consentirono al padre del metodo scientifico di
sviluppare importanti formulazioni di fisica del suono. Tra i più valenti strumentisti
della Camerata de’ Bardi vi era il virtuoso fiorentino Giovanni del
Turco, nominato musicista di corte da Cosimo II e più noto in Firenze quale
Consigliere dell’Arte dei Medici e degli Speziali.
Giovanni del Turco è autore dell’Epulario[3]
(1602), un’opera fondamentale nel suo genere in quanto può considerarsi il
primo libro di cucina moderna in cui sono specificate le dosi esatte dei
singoli ingredienti e tutti i tempi di cottura, e di due compendi minori, i Segreti
vari, dedicati all’arte della pasticceria e della confetteria.
Un’osservazione su un particolare ci
rende conto della prudenza di questo autore nel trattare di cucina, non
fidandosi di ciò che non aveva personalmente sperimentato e verificato: l’America
era stata scoperta da oltre un secolo e da lungo tempo pomodori, patate, mais e
cacao erano nell’uso del popolo, oltre che di borghesi e nobili, eppure
Giovanni del Turco li esclude dalle sue ricette dell’Epulario.
L’opera, soprattutto per il rigore nella compilazione riprendendo e correggendo
le fonti di Messisbugo, Scappi e Romoli, ma anche per
l’esaustività esplicativa delle sue 166 ricette, è considerata un documento di
eccezionale valore storico che, attraverso la cucina, le abitudini alimentari e
i gusti fiorentini e italiani tra il Cinquecento e il Seicento, fornisce informazioni
su dimensioni personali e private delle genti di quell’epoca.
Notiamo nell’Epulario
tre differenze con la cucina contemporanea nelle denominazioni: i tortelli,
non sono dei cilindretti di pasta ripieni e torti a formare un anello, come li
si intende oggi, ma il termine viene da “torta” intesa come preparazione
ripiena, farcita; e, dunque, “tortelli” sta per piccoli ripieni, perciò non
meraviglia che corrispondano ai ravioli della nostra nomenclatura. I tortelli dell’Epulario sono infatti dei ravioli ripieni di ricotta
fresca con bietole, cannella e chiodi di garofano, che dischiudono il loro
cuore tenero e aromatico tra lingua e palato. Un’altra differenza è la
denominazione degli “gnudi”, costituiti da un ripieno cotto a palline senza
sfoglia, che nell’Epulario sono detti “ravioli”.
Infine, ecco cos’era allora la “carbonata”: “«fette di pane grosse un dito,
lardate con prosciutto fine e messe a friggere» cosparse poi con una salsa di vino
bianco, aceto e spezie”[4].
[BM&L-Italia, maggio 2025].
Notule
BM&L-10 maggio 2025
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di Neuroscienze BM&L-Italia, affiliata alla International Society of
Neuroscience, è registrata presso l’Agenzia delle Entrate di Firenze, Ufficio
Firenze 1, in data 16 gennaio 2003 con codice fiscale 94098840484, come
organizzazione scientifica e culturale non-profit.
[1] Da non confondersi con “Panunto”,
soprannome di Francesco Gaudenzio (nato a Firenze nel 1648) e autore del
trattato Panunto Toscano del 1705.
[2] Paolo Petroni, I primi libri
di cucina rinascimentale ne Il libro della vera cucina fiorentina,
p. 32, Giunti, Firenze 2012.
[3] L’Epulario
si può consultare presso la Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze.
[4] Ripreso dall’Epulario
in Paolo Petroni, Il libro della vera cucina fiorentina, p. 33, Giunti,
Firenze 2012.